Anna Maria Ciddio
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Piazza della Rotonda
La piazza chiamata anche del Pantheon oggi si presenta come una meta turistica molto frequentata anche dai romani per i tanti tavolini all’aperto dei bar e dei ristoranti ma in passato e fino alla metà ’800, si svolgeva un mercato così affollato che Clemente IX fece chiudere con un cancello il pronao del Pantheon per evitare che venisse occupato dai banchi. Nei tempi imperiali la piazza era cinta da portici sorretti da colonne e chiusa in fondo (di prospetto al Pantheon) da un arco trionfale che fu demolito da Alessandro VII perché ormai fatiscente. Uno dei rilievi marmorei di questo grande arco raffigurava una donna genuflessa avanti ad un imperatore romano, dietro la quale era rappresentato un gruppo di cavalieri e legionari con le insegne spiegate; nel Medio Evo fu creduto raffigurasse un atto di pietà di Traiano (Dante, Purgatorio X, 76-81), ma molto probabilmente raffigurava Augusto e la donna umiliata, l’Egitto sottomesso in sembianze di Cleopatra, questo il motivo per cui nel medioevo la contrada venne denominata “della Pietà”.
Nel centro della piazza, Gregorio XIII fece installare una fontana (Fontana del Pantheon), disegnata da Giacomo della Porta e scolpita da Leonardo Sormani (1575) a pianta mistilinea su piattaforma a gradini adorna di maschere e delfini, alla quale Clemente XI (1667-69) fece sovrapporre l’obelisco rinvenuto a piazza Sant’Ignazio che insieme a quello rinvenuto a piazza della Minerva, erano di ornamento all’antico Tempio d’Iside che si trovava in quel luogo. L’obelisco del Pantheon è alto 6 metri ed era eretto a Eliopoli in onore di Ramses II, è sconosciuto il percorso di come fu trasportato a Roma.
I palazzi settecenteschi e la fontana sono dominati dalla possente mole del Pantheon che è uno dei reperti romani più celebri e meglio conservati grazie alla precoce trasformazione nella chiesa di Santa Maria ad Maryres, avvenuta al tempo di Bonifacio IV. Venne costruito nel 27 a.C. daMarco Vespasiano Agrippa, genero di Augusto, e Adriano lo riedificò nel 118-125, conservando e ricollocando sulla fronte l’iscrizione originaria (“Marcus Agrippa, Lucii filuis, consul terbium feci”, “Lo costruì Marco Agrippa, figlio di Lucio, console per la terza volta”). Ultimato da Antonino Pio e restaurato all’inizio del III secolo, al tempo di Settimio Severo e di Caracalla, con la fine dell’Impero cadde in abbandono fino a quando Foca, imperatore di Bisanzio, lo cedette nel 608 a Bonifacio IV. In seguito fu adibito anche a fortilizio e nel 1625 Urbano VIII Barberini lo privò del rivestimento bronzeo delle travi del portico per fondere 80 cannoni destinati a Castel Sant’Angelo e le quattro colonne totali del baldacchino di San Pietro (da cui la celebre pasquinata “Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini”, ”quel che non fecero i barbari, fecero i Barberini”). All’indomani dell’Unità fu destinato a sacrario dei re d’Italia: i conseguenti restauri eliminarono le cancellate del pronao e le cosiddette“ “orecchie d’asino”, ovvero i campanili aggiunti da Gian Lorenzo Bernini.
Il pronao costituito da otto colonne di granito, tramite un portale bronzeo (originale ma con pesanti restauri) apre l’aula circolare (da cui deriva “Rotonda”, il nome popolare del Pantheon).
I muri della rotonda spessi oltre 6 metri, sono in laterizio; la cupola, del diametro di 43,3 metri (poco più di quella di San Pietro) è in conglomerato sempre più leggero procedendo verso l’alto, ove è impiegata la pomice. La sommità della volta, priva della lanterna, rimane a cielo aperto, un’altra singolarità dell’edificio. La cupola con il diametro di 43,30 metri, è la più vasta volta in muratura mai realizzata. Le pareti dell’aula sono interrotte da archi di scarico che hanno la funzione di alleggerire il peso e che sono ben visibili dall’esterno dell’edificio. All’interno le pareti sono movimentate da nicchie rettangolari e semicircolari, inquadrate da colonne di marmi policromi, i quali rivestivano anche la parete alta delle pareti. Il pavimento di marmo geometrici è in buona parte originario.
Il giorno della Pentecoste ogni anno, i vigile del fuoco salgono sul tetto del monumento e dal foro centrale lanciano 12 secchi di petali di rose rosse che nella tradizione cristiana richiamano la discesa della Spirito Santo con le gocce del sangue di Gesù. La pioggia colorata inonda il mausoleo.